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“L’Isola dei Resuscitati Morti” di Domenico Montixi (2022)
Più che ai capisaldi dello zombie movie, il condensato di sangue e budella creato da Domenico Montixi, sembra ammiccare al sexy thriller italiano degli anni ’70, fatto di personaggi ossessivi, uccisioni dal sapore voyeuristico e improbabili armi del delitto dalla forma fallica. La cornice, in questo caso, è rappresentata dagli avvenimenti: la vicenda della missione di salvataggio, interrotta istantaneamente dai resuscitati morti del titolo, riempie gli spazi vuoti tra un omicidio e l’altro. Le diverse “trovate” con cui vengono messi in scena diventano quindi i veri centri gravitazionali dell’opera, carichi di una forza attrazionale che non risparmia né gli spettatori né il regista, il quale avrà sicuramente dedicato gran parte della sua attenzione a queste cellule narrative, minuscole ma fondamentali per restituire al meglio l’atmosfera del filone sopracitato.
Se si cerca invece di rintracciare nella storia del cinema – e non solo – le origini dei due protagonisti, dobbiamo spingengerci ancor più indietro nel tempo, fino ad approdare agli inizi degli anni trenta, periodo in cui uscivano nelle sale americane L’isola delle anime perdute (1932) e King Kong (1933). Dal film di Earl C. Kenton viene preso la figura dello scienziato-Prometeo, che vede nel Frankenstein di Mary Shelley il suo capostipite e nel dottor Moreau di H.G. Wells il suo riferimento diretto, mentre il grande classico dell’RKO è considerabile l’artefice dell’inserimento del meccanismo metacinematografico all’interno di opere esplicitamente finzionali – se non direttamente fantasy -, contribuendo all’elevazione della cinepresa quale strumento prediletto per creare, fissare e diffondere la verità.
Nell’opera di Montixi invece, il dottore viene svuotato dell’afflato romantico che ha frequentemente caratterizzato i cosiddetti “scienziati pazzi”, e al giornalista vengono affidate le sorti dell’umanità, in un ribaltamento tanto inaspettato quanto essenziale per modernizzare la narrazione e rendere più attuali le conclusioni. Non più mero osservatore, ma protagonista, giudice e boia della civiltà contemporanea. L’isola, diventa quindi la raffigurazione in vitro del mondo reale, e il cinema l’unico mezzo per osservarla.
– Enrico Nicolosi
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