Les courts-métrages ça m’emmerde. Clermont-Ferrand, formato breve, Italia

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I festival programmano cinema breve da sempre. Ma non è la semplice presenza in sé ad avere alcuna rilevanza, conta il contesto, i modi, le forme, le conseguenze, la visione culturale di insieme. Cannes e Berlino hanno concorsi di corti dagli anni Cinquanta. Venezia ha invece un passato più frastagliato. Per capire quale è il ruolo di Clermont oggi serve però fare una breve introduzione storica sui festival dedicati esclusivamente al cinema breve, tralasciando i festival generalisti.

Nel 1951 l’Association française pour la diffusion du cinéma crea le Journées du cinéma. Una manifestazione itinerante, con diversi promotori, dalla quale pochi anni dopo nasce il primo festival internazionale, e stanziale, dedicato esclusivamente al cortometraggio.

Tra il 23 e il 25 settembre del 1955 si tiene la prima edizione delle Journées internationales du film de court métrage de Tours. Forte della credibilità e delle esperienze degli anni itineranti, iniziano senza la necessità di un rodaggio, per farsi un’idea basta la giuria: Abel Gance, Francis Poulenc, André Bazin e Roger Leenhardt. La seconda edizione viene elogiata anche da François Truffaut, «Les Journées du cinéma de Bourges ont réveillé les spectateurs» (Arts, no 587, 3 ottobre 1956).

Fino al 1968 le giornate di Tours si affermano come un fenomeno culturale, al punto da meritarsi il titolo di Cannes sulla Loira. Evento anche storicizzato dal volume monografico di Donatien Mazany, Tours, capitale du court métrage (Tours, Anovi, 2015). Ma il documento che oggi ci pare più strabiliante è un reportage sulla sesta edizione del festival (1-5 dicembre 1959) realizzato da Guy Cavagnac, assistente di Renoir: Tours 1959.

Malgrado il successo le Journées terminano con l’edizione del 1968, anno non casuale, per volontà del sindaco di Tours. Quelle del 1970 e 1971 sono disconosciute, non hanno alcuna continuità con l’organizzazione precedente.

Dopo la Loira c’è ancora una tappa fondamentale prima di arrivare all’Alvernia. Grenoble è un passaggio pieno di sovrapposizioni e incroci con un momento della storia del cinema francese, l’affaire Langlois, le cui conseguenze hanno investito la politica culturale dell’audiovisivo a livello internazionale.

Le Journées di Tours, senza più una casa si spostano a Grenoble nel 1971 diventando il Festival du court métrage et du film documentaire. Se il citato reportage di Guy Cavagnac del 1959 resta una testimonianza eccezionale della manifestazione di Tours, Deux festivals à Grenoble di Atiat El Anoudi, ci restituisce elementi che vanno oltre il reportage. Documentario del 1974, poco meno di trenta minuti, racconta anche il dietro le quinte, filma i nostri colleghi dell’epoca al lavoro. Un film speciale, imperdibile per chiunque operi nel mondo dei festival.

Il Festival du court métrage et du film documentaire dura pochi anni, per la mancanza di fondi nel 1976 si sposta nuovamente a Lille, aprendo un’altra storia parallela. Grenoble però è la città dove Michel Warren nel 1962, sotto la guida dello stesso Langlois, fonda una filiale della Cinémathèque française che, dal 1983, diventerà un’istituzione indipendente, la Cinémathèque de Grenoble. Grazie alla spinta di Warren e il suo gruppo, certi di avere un pubblico, fondano nel 1978 il Festival du Film court en Plein air de Grenoble. Portano i corti in piazza, stabiliscono un modello di grande successo, creando intorno al formato breve un apparato culturale fatto di incontri, mostre, pubblicazioni. Le vicende dell’Isère sono ricostruite mirabilmente nella tesi di laurea di Giulia Cabassi: La Cinémathèque de Grenoble et son Festival du Film court en Plein air: un cas d’étude entre exception culturelle française et cinéma d’exception (Università di Bologna, anno accademico 2021-2022).

Seguendo il filo da Tours a Grenoble, passando per Lille, arriviamo così a Clermont-Ferrand che impiegherà alcuni anni, tra il 1979 e il 1987, a trovare un modello definitivo, il blueprint dei festival di cortometraggi come li conosciamo oggi. Oltre ai numeri, noti e strabilianti, quello che ci interessa è l’esempio virtuoso con il quale la manifestazione nell’arco degli anni è riuscita a rimanere fedele a sé stessa in una realtà così fluida e inafferrabile come quella dell’audiovisivo. Capaci per decenni di rimanere il riferimento di tutto ciò che tocca il formato breve, di facilitare la creazione di tanti festival in Europa con lo stesso spirito, fortificando una comunità e influendo sulla cultura e il cinema internazionale.

Prima di trattare le produzioni italiane serve ancora un breve riassunto della travagliata genesi. Il festival come lo conosciamo oggi è il risultato di quasi dieci anni di lavoro collettivo, dibattiti interni, migliorie continue.

Il successo dei cineforum subisce ovunque una flessione a metà degli anni ’70 con la diffusione della TV. Cambia così la programmazione che si orienta verso l’essai. Il Cercle Cinématographique Universitaire de Clermont-Ferrand (CUCC) nel 1978 decide di organizzare una settimana dedicata ai cortometraggi. Dal 5 al 7 febbraio 1979 si tiene la prima Semaine du Court-Métrage.

Il ciclostile d’obbligo esordisce con un sentimento largamente condiviso in Italia (i lunghi postumi della famigerata legge n. 678 del 1945 che obbligava la programmazione dei corti prima dei lunghi).

Così apre il primo ‘catalogo’ del 1979:

 

LE COURT-METRAGE …..?

– c’est le petit film qu’on voit avant le grand?

– c’est ces trucs sur les fleurs ou les régions de France.

– Moi, je n’arrive que pour le film, les courts-métrages ça m’emmerde…

 

Sono passati quasi 47 anni e ancora oggi l’immagine e l’idea del corto restano spesso superficiali per chi è al di fuori della comunità. Già nell’individuare e contestare quel fraintendimento troviamo un primo filo conduttore che oramai possiamo dire inesauribile. Nella genesi abbiamo lo spirito del festival, e altri elementi rimasti invariati, come la cura per i manifesti: «La publication de l’affiche constitue toujours un petit événement en soi, chaque année» 1979: l’année où le festival du Court-Métrage est né…, intervista a Antoine Lopez, 7 Jours à Clermont, 01/02/2019.

La storia degli inizi è lunga, molto travagliata, soprattutto necessaria, parte dalla Semaine del 1979 e arriva al 1988 dove sul manifesto compare: 10ème National, 1er Internationale.

Leggendo i cataloghi del decennio, si capisce tutta la complessità pratica e teorica. Servirebbe un volume a parte. Questa la cronologia essenziale:

1979            Semaine du Court-Métrage (5-9 feb)

1980           Semaine du Court-Métrage (4-8 feb)

1981            Semaine du Court-Métrage (2-7 feb)

1981            Sauve qui peut le court métrage (4 ago 1981)

1982            4° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (19-24 apr)

1983            5° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (31 gen–5 feb)

1984            6° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (20-25 feb)

1985            7° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (11-16 feb)

1985            Journées Internationales

1986            8° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (3-8 feb)

1986            2° Journées Internationales

1986            1er Marché du Film Court

1987            9° Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (2-7 feb)

1988           Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand (30 gen-7 feb)

1988           10éme National

1988           1er International

 

Il primo film breve italiano proiettato a Clermont lo troviamo già nella Semaine del 1979: Strip Tease (1977, 2′) di Bruno Bozzetto, nel programma dedicato all’animazione. Autore e pioniere più che affermato negli anni ’70.

La storia dei corti a Clermont inizia realmente nel 1985 con la prima edizione delle Journées Internationales du Court. 414 corti iscritti, di cui 321 francesi, sono le fonti dei due concorsi che ci sono ancora oggi, nazionale e internazionale. Quest’ultimo composto da 40 titoli da 25 paesi di tutti i continenti. Un italiano iscritto e selezionato. Solo un bacio (Ita 1983. 6′) di Giudo Manuli, un’altra animazione, passata anche ad Annecy.

L’anno seguente, con la nascita del mercato, sono quasi 600 gli iscritti. Il concorso internazionale sale a 53 titoli. Di 4 italiani due sono di Bozzetto, entrambe comiche slapstick in 16mm parte della serie di 13 episodi Sandwich coprodotta dalla Televisione della Svizzera Italiana con le musiche di Franco Godi (sì, quello degli Articolo 31).

Tra Pollo (1984, 6′) e Fresbee Bar (1984, 6′) viene selezionato il secondo. L’altro italiano in concorso è Robinson in laguna (Ita 1985, 24′). Documentario di un altro autore affermato come Mario Brenta, già passato a Venezia con un lungometraggio (Vermisat, 1974) e fondatore con Olmi di Ipotesi Cinema nel 1982.

Apre il catalogo del 1986 un testo inequivocabile sul futuro della manifestazione, Le préfiguration d’un festival international:

«Cette 8° édition du Festival du court étrage marque probablement un tournant décisif dans l’histoire de la manifestation dont la vocation international et la dimension économique seront désormais plus affirmées.

Le Festival dont devenir l’occasion de mettre en place un véritable marché des film de court métrage…» (Catalogo 1986, pag. 3).

È importante citarlo perché, nella collettività delle forze che hanno creato il modello, oltre a CCUC un ruolo significativo lo assume l’autore di questa e tante altre introduzioni ai cataloghi. Roger Quilliot, sindaco di Clermont-Ferrand dal 1973 al 1997. Fine umanista e amico di Camus di cui ha curato diverse edizioni, grande amante del cinema come si legge in alcuni passaggi in cui cita determinati autori e film. Il sostegno di Quilliot non è la semplice benedizione istituzionale. Da un lato è stato in grado di cogliere la visione degli organizzatori, il loro entusiasmo, le competenze, e soprattutto e le loro capacità di mettere insieme e fare funzionare un evento complesso. C’è grande ambizione, sia culturale che economica. Una visione politica che bilancia il respiro internazionale con l’identità locale, un festival della città, dei suoi abitanti di ogni età, inclusivo e orizzontale. Uno spazio dove le tre cose che determinano il successo, l’identità e la bellezza di un festival sono protagoniste: i film, gli autori, il pubblico.

Segue ancora un’edizione transitoria nel 1987, dove la struttura del festival non è quella definitiva, tanto che si immagina una biennale internazionale. Lo sappiamo grazie all’introduzione degli 11 programmi nazionali dedicati (4 al Giappone, 3 al Brasile):

«…parallèlement à la compétition nationale annuelle auront lieu, les années impaires, des Panoramas de cinématographies étrangères er les années pairesm un Festival International. […] Et rendez-vous en 1988 pour le premier FESTIVAL INTERNATIONAL DU COURT MÉTRAGE DE CLERMONT-FERRAND». Recontres Internazionationales au Service du Court Métrage (Catalogo 1987, pag. 45).

L’unico altro caso, con il 1985, in cui il numero dei film italiani iscritti corrisponde a quelli selezionati, lo registriamo con la comparsa della dicitura della manifestazione come la conosciamo oggi, Festival du Court-Métrage de Clermont-Ferrand. Se al battesimo delle Journées, Manuli è l’unico iscritto e selezionato, per il concorso del 1988 saranno in due. Entrambe fiction: Attaccamento e perdita (1987, 20’) di Lucia Zei, e Telecomando (1987, 7’) di Francesco Alberti. La prima diventa scrittrice, autrice e sceneggiatrice di successo, vincendo il Nastro d’Argento per il soggetto di Come due coccodrilli (1994) di Giacomo Campiotti. Entrambi i corti lo stesso anno vennero selezionati anche a Rotterdam.

L’ultima edizione senza corti italiani, e senza il concorso internazionale, è quella del 1989. A conferma della tentazione di una formula biennale che, fortunatamente, non si concretizza. Anzi la manifestazione oramai decolla e dai Novanta a oggi si impone con grazia e contenuti come riferimento del formato breve per il mondo dell’audiovisivo. Come nel 1987, oltre a programmi tematici, ci sono due sezioni dedicate a cinematografie nazionali, questa volta su Canada e Australia.

Il tempo, il lavoro del primo decennio è testimone della complessità necessaria per la messa in opera definitiva del modello, di una formula efficace di trattare e promuovere il formato, chi lo realizza e diffonde.

La crescita di Clermont non è soltanto trasversale per tutti i numeri del festival, riflette e stimola la filiera del corto internazionale. Le produzioni italiane iscritte aumentano costantemente, passando da otto del 1990 alle 105 del 1998. Quelle selezionate invece fino al 2002 sono sempre tra le due e le tre.

Dopo Bruno Bozzetto nel 1979, la prima comparsa italiana, e Guido Manuli il primo selezionato nel concorso internazionale delle Journées, anche la prima menzione speciale è un’animazione. Arriva nell’edizione del 1992 con La pista (1991, 2′) di Simona Mulazzani e Gianluigi Toccafondo.

Non si tratta certo di un caso, l’animazione d’autore italiana è un’eccellenza, quindi una presenza costante in Alvernia, dove il genere ha spazi fin dalla prima edizione. Sono autori spesso più conosciuti e apprezzati fuori dal nostro paese, tanto che nell’ultimo decennio la maggior parte di opere sono prodotte completamente all’estero o con maggioritaria estera, spesso francese come vedremo. Toccafondo stesso, nato a San Marino ma formatosi a Urbino, è un caso esemplare. Due anni dopo, nel 1994, prenderà altre due menzioni speciali. Una prima nel concorso internazionale con La pista del maiale (1992, 4′), produzione italiana, e una seconda nel concorso nazionale con Le Criminel (1993, 5′), produzione francese passata alla Biennale del Cinema di Venezia. A chiudere il cerchio arriviamo a oggi, proprio nell’oramai prossima edizione di Clermon 2025 Toccafondo è di nuovo nel concorso nazionale francese con La voix des sirènes (2024, 20′), coproduzione francese e italiana che ha fatto la prima a Toronto 2024.

Anche il secondo corto italiano nel concorso internazionale nel 1994 prende una menzione speciale. Oreste a Tor Bella Monaca (1993, 24′) di Carlos Zonars, regista greco che ha studiato anche al Centro Sperimentale. Film che ha fatto la prima a Venezia, girato con la comunità Rom di via Filippo Fiorentini a Roma. In un solo anno quindi tre menzioni, due delle quali allo stesso autore in due diversi concorsi.

Sono gli anni in cui il cinema breve si afferma come formato autonomo, ne viene riconosciuta la dignità autoriale. In Italia aumenta la programmazione nei festival, si alimenta un dibattito. Nel 1993 Cinemagiovani, il Torino Film Festival, dedica un convegno internazionale, Il mercato dei cortometraggi, e la sezione Un anno di corti italiani. Viene pubblicato un volumetto diventato iconico per la comunità del corto italiano: Jan Rofekamp, Come vendere un cortometraggio (Lindau, 1993).

«In questi ultimi anni, grazie allo sforzo di alcuni critici, festival e associazioni, il corto, irriconoscibile rispetto ai vecchi documentari o film promozionali delle pro loco, pur in assenza di supporti pubblici, è rinato a nuova vita e cerca un suo spazio in un sistema mediologico di fruizione degli audiovisivi radicalmente cambiato». La diffusione del cortometraggio in Italia di Gaetano Capizzi, introduzione a Come vendere un cortometraggio (Jan Rofekamp, Lindau, 1993).

Il libro termina con la Proposta di un codice etico dei festival di cortometraggi, a cura di Short Film Conference.

Nel 1998 arriva il picco della crescita, per la prima volta le iscrizioni italiane superano i 100 titoli. Ma non è un aumento che riguarda solamente il formato breve, investe l’industria cinematografica europea e nazionale come possiamo leggere dal rapporto dell’Osservatorio dello spettacolo.

Le conseguenze dell’affermazione del cinema breve come formato autonomo e autoriale migliorano la produzione, nella quantità e nella qualità. Non a caso il biennio del picco, le 77 iscrizioni del 1997 e le 105 del 1998, con i tre corti italiani di fiction in concorso per entrambe le edizioni, coincide con un riconoscimento internazionale di opere e autori che avranno una lunga carriera.

Per il 1997: Enrico Pau, documentarista e giornalista, con La volpe e l’ape (1996, 22′), Doom (1996, 9′) di Marco Pozzi e Il pranzo onirico (1996, 23′) di Eros Puglielli che prende la menzione speciale della giuria. Oltre al premio quest’ultimo si rivela un vero e proprio caso di enorme successo, candidato ai David e programmato a festival tutto il mondo (tra cui Venezia). L’autore appartiene a quel rarissimo gruppo di registi che ha esordito con il lungo, l’autoprodotto Dormi (1995), per poi passare al corto e attraversare trent’anni di carriera tra cinema e TV.

Eccesso di zelo di Vittorio Moroni (Ita 1997, 23’) e La terza vita del professore (1997, 16’) di Renato Corazza e Vittorio Primerano sono nel concorso internazionale del 1998 insieme al primo vincitore italiano di Clermont-Ferrand: La matta dei fiori (1997, 30’) di Rolando Stefanelli, Special Jury Prize. Film che vince anche il David, il Gabbiano a Bellaria e il premio del pubblico di Arcipelago.

La fine del millennio, oltre alla fase di crescita del corto italiano, è particolarmente importante perché nel 1999 abbiamo a Clermont-Ferrand la prima e unica retrospettiva dedicata al nostro paese: Tutti Frutti / Rétrospective Italienne. 6 programmi, 37 film, dal 1933 al 1996. Le copie vengono dalla Cineteca Nazionale, diretta da Adriano Aprà, che ha curato il programma con Gianni Volpi dell’AIACE, tra le prime associazioni ad occuparsi con continuità di formato breve, da cui infatti nasce il Centro Nazionale del Cortometraggio.

La selezione è molto completa, riesce a fare sintesi di un periodo temporale molto lungo, portando sullo schermo grandi film poco noti. Molte le opere di autori che hanno definito parte della nostra storia del cinema: Michelangelo Antonioni, Luigi Comencini, Vittorio De Seta, Luciano Emmer, Gianfranco Mingozzi, Carmelo Bene, Roberta Torre, Gianluca Maria Tavarelli.

A completare la retrospettiva, particolarmente significativa riletta oggi è l’introduzione di Gianni Volpi che troviamo sul catalogo. Una fotografia del momento, a cominciare dal titolo che denuncia il momento di fermento disorganizzato: The Greater the chaos, the greater the hope.

«In many ways, the Italian short film is in a schizophrenic situation between expectation and expediency. Today, the number of circuits is on the rise, both on a commercial level (programming with features, however irregularly) and on a more marginal one (more than two hundred short film festivals have been created in Italy, representing a genuine parallel circuit). But at the same time, its visibility is on the albeit useful initiatives of Nanni Moretti.

[…]

The awareness of its independent value has taken shape along with that of its nature ad a neither superficial nor minor cinematic genre, at least in its style. One could even give a date symbolising the completion of this process: September 1993, when the Venice Film Festival, after thirty years, reintroduced a specific official selection.

[…]

In any case, the shorts film continues to be an essential part of our national cinema, happily without being a simple replica… yet without its own image either». Gianni Volpi, The Greater the chaos, the greater the hope (Catalogo 1999, pag. 77-79).

Volpi inoltre segnala come nel nostro paese il corto a fine millennio non è ancora riconosciuto una forma autoriale autonoma e definita. Manca un sistema, tra strascichi del passato e incertezze del presente.

Ancora non viene esaltata la forza espressiva, la vocazione sperimentale, la libertà, l’arte di arrangiarsi, il fare un corto senza un fine che non sia la necessità di esprimersi, realizzare un’opera. Nessuna committenza, nessuna ‘palestra per il lungo’, nessun fine informativo, scientifico, educativo. Per usare la formula sempre efficace della prefazione al Ritratto di Dorian Gray di Wilde: la buona vecchia inutilità dell’arte.

A sorpresa dopo più di cinque anni di crescita del corto italiano segue un periodo di brusco ridimensionamento nei numeri dell’industria. Malgrado i buoni film non siano mai mancati, Salvatore Mereu in concorso per la prima volta nel 1999, le produzioni nazionali iscritte a Clermont arrivano a dimezzarsi in pochi anni. Dalle citate 105 del 1998 alle 87 del 1999. Poi 85 nel 2000, 41 nel 2001, 53 nel 2002, 65 nel 2003.

Produzioni italiane iscritte (1979-2025):

Non è un fenomeno solamente italiano, succede in modo meno marcato anche alle iscrizioni internazionali e francesi.

Produzioni italiane, francesi e internazionali iscritte (1979-2925):

Certo le iscrizioni a Clermont-Ferrand non rappresentano numericamente le produzioni italiane. Ma, non essendoci delle cifre precise, e avendo fatto alcuni censimenti negli anni passati, possiamo dire che sono un dato molto indicativo. Se non rispecchia i numeri esatti di certo rispecchia l’andamento. Vale anche per le iscrizioni ai David di Donatello e, negli ultimi anni, i titoli registrati su Cinemitaliano.info, risorsa oggi preziosa per navigare il mondo del formato nel nostro paese. Oggi incrociando i titoli e i numeri da queste tre fonti è possibile farsi un’idea approssimativa della produzione nazionale.

Abbiamo dato i numeri in caduta ma, del periodo tra 1998 e il 2003, vale la pena citare anche qualche autore che continua a lasciare un segno nella nostra cinematografia. Salvatore Mereu di muovo in concorso con Miguel (1998, 32′). La prima volta di Roberto Catani con La sagra (1998, 4’), unica occasione nella selezione internazionale. Nel 2019 con Per tutta la vita (2018, 6’) e quest’anno con Il burattino e la balena (2024, 8’), entrambe con maggioritario francese, sono nel concorso nazionale. Catani è anche il primo italiano a fare un manifesto per Clermont nel 2001.

«This is the first year some films will be screened on digital format within a specific competition in addition to the national and international sections. Cinema and short films have gone through the digital revolution.

[…]

The 1st Digital Works Competition will bring about elements of discussion» (Catalogo 2002, pag. 71).

 

L’apertura di una nuova sezione competitiva per l’edizione del 2002, Brèves Digitales en Compétion Officielle, apre nuove possibilità anche al corto italiano. Il primo Programme Numérique, 5 programmi 44 film, ospita Senza Terra di Cesar Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio. Rilevante perché la prima volta Simone Massi con Tengo la posizione (2001, 4′). Animatore con ben 5 titoli a Clermont fino ad oggi, disseminati nel concorso internazionale, in quello francese, in Lab e nella retrospettiva dedicata ai cani del 2008 (Chien. Fais-moi un canin, 30 film 3 programmi) con La memoria dei cani (2005, 8′).

Il 2003 segna la fine di una fase per il mondo del formato breve internazionale, per tutta la filiera, l’industria, coinvolgendo quindi Clermont e l’Italia. L’edizione del festival ospita ben 4 film italiani nei concorsi. Click (2001, 3′) di Andrea Traina e Bit of human (2002, 10′) di Giorgio Partesana, Nicola Smanio e Lucas Zanotto nel Programme Numérique. Nel concorso internazionale invece due film molto diversi. Una commedia tradizionale di grande successo, Playgirl (2002, 14′) di Fabio Tagliavia, scritto da Marco Pozzi. Vince il premio Troisi e il David per i protagonisti, Valerio Mastrandrea e Fabio Volo. Il secondo è un corto che ancora oggi mantiene più elementi di freschezza. Il sorriso di Diana (2001, 15) di Luca Lucini. Narrativo, grottesco e divertente, misto di fiction e animazione premiato dalla giuria con il Research Award.

 

Tra il 2003 e il 2004 il salto è radicale. Le ragioni sono molteplici. Il digitale che man mano diventa più accessibile, quindi l’abbassamento dei costi e l’aumento della produzione. Per quanto riguarda l’Italia serve ricordare, dopo la legge Bassanini del 1997, arriva la riforma costituzionale del titolo V nel 2001, cultura e spettacolo diventano “competenza concorrente”. Le regioni devono elaborare leggi sul cinema. È il vero punto di partenza delle Film Commission, anche se alcune erano già attive, prima di tutte l’Emilia-Romagna nel 1997. Ma è soprattutto la rete a cambiare lo scenario.

Nel 2000 nasce Without a Box, che molti noi hanno utilizzato ampiamente. È la prima piattaforma per iscrivere i film ai festival, bypassando definitivamente la spedizione della copia fisica. Nel 2004 nasce il competitor canadese di WAB, Filmfreeway. Lo stesso anno proprio da Clermont, non a caso, Sauve qui peut le court métrage apre la prima piattaforma europea, Short Film Depot. Attiva ancora oggi, propria di una linea editoriale sulla scelta delle manifestazioni che ospita, aggiornata lo scorso anno con la terza versione.

Le iscrizioni internazionali quasi raddoppiano, passando da 2144 del 2023 alle 4057 del 2024. Lo stesso per quelle francesi: 497 nel 2023, 1196 nel 2004. Quelle italiane fanno un salto ancora più impressionante, triplicando: 65 nel 2003, 195 nel 2004. Per dare una proporzione di quanto sia rilevante il dato basta sottolineare che più di un decennio dopo le iscrizioni saranno di meno: l68 nel 2015 e 184 nel 2016.

Il 2004 è anche l’edizione in cui il Programme Numérique termina la sua fase embrionale:

«Today’s evolution of digital technology has caused art forms linked to the moving image to shine out in a cluster of forms, styles and trends.

This contemporaneous multiplicity, where formats that were deemed obsolete – like Super 8 for instance – are actually being made new use of, serves as a melting pot for frictions and bypasses generating new energies. Our Lab competition is an invitation to journey through these newly created territories». (Catalogo 2004, pag. 75).

La sezione, adattandosi nel cogliere tutte le innovazioni dei formati e del linguaggio, diventa Lab. Ancora oggi è uno dei pilastri del festival la cui formula è oramai assestata.

Le selezioni delle produzioni italiane, tra due e quattro dal 1990 al 2014, con l’eccezione dei cinque del 2005 e 2011, sono per gli anni a seguire un’istantanea del corto nel nostro paese. Troviamo di tutto. Autori che avranno una lunga e fortunata carriera, piccoli grandi film che resistono ancora oggi alla prova del tempo di registi che non hanno poi avuto fortune, corti che hanno vinto il David, produzioni importanti e professionali, opere sperimentali fatte in casa, documentari (pochi), animazioni, etc. Titoli sono reperibili sulla piattaforma del festival ShortFilmWire.

Non potendo citarli tutti ci limitiamo a casi particolari legati ai premi o situazioni che hanno un eco sul formato e l’industria, termine in parte abusato ma è un altro discorso. Di questi fa parte Il supplente (2006, 15′) di Andrea Jublin che vince il premio di Canal + nel 2007. Film di enorme circolazione internazionale, in concorso al Sundance, che Clermont ha inserito anche nel programma per le scuole.

Prima di arrivare all’ultimo grande momento sensibile che ha modificato bruscamente il formato in Italia da metà degli anni’10, c’è ancora un blocco temporale, dal 2008 al 2012. Lo si può identificare facilmente come il momento di maggior riconoscimento del formato breve nazionale a Clermont, dove si concentrano il maggior numero di premi e menzioni. Alcuni di questi sono oggi, e resteranno domani, dei classici del cinema italiano. Questa fase in cui la qualità delle opere, la ricerca formale e l’esuberanza creativa, hanno avuto un meritato riconoscimenti internazionale, ha influito nei tempi e modi in cui si è strutturata la comunità/industria del corto a metà degli anni dieci.

 

Produzioni italiane selezionate e premiate (1979-2025):

Quasi a dare il via ad un quinquennio irripetibile, un’ulteriore testimonianza della fertilità, dell’esistenza di un sommerso che sta per venire a galla, di un «universo discontinuo che senza sosta si muove» (Barbera/Volpi). Il Centro Nazionale del Corto pubblica il primo volume che fotografa il formato breve del 2007, Le forme del corto. Rapporto sui corti italiani (a cura di Lia Furxhi e Gaetano Stucchi, CNC 2007).

I premi sono importanti, fino a un certo punto. Soprattutto quando li vinci. Esistono film che hanno fatto incette in una determinata stagione, per essere poi dimenticati. Altri ignorati dai festival, che hanno trovato la loro strada e sono sopravvissuti al tempo. Nel caso in questione l’importanza non è nei premi in quanto tali, ma nel combinato disposto che hanno insieme al riconoscimento internazionale, alla rilevanza di alcuni autori, delle conseguenze positive e trasversali sulla scena italiana.

Nelle cinque edizioni che vanno dal 2008 al 2012 in totale sono selezionati 17 corti italiani. Di questi 15 nei concorsi, 8 CI e 7 Lab. I premi del periodo sono: 3 Grand Prix, 3 Mention of the Press Jury, 1 Special Jury Prize, 1 Audience Award. Tanti.

I due fuori concorso sono entrambi nell’edizione del 2011, Jeunes Publics, per le scuole: Blackboard (2009, 3′) di Stefano Bertelli (JP) e Arithmétique (2010, 4′) di Giovanni Munari e Dalila Rovazzani.

Entrambi i corti nel concorso internazionale del 2008 prendono la menzione speciale della stampa, fiction molto diverse tra loro: Giganti (2007, 24′) di Fabio Mollo e la commedia Lacreme napulitane (2007, 19′) di Francesco Satta.

Volendo prendere un anno simbolico per il formato breve italiano a Clermont, la scelta non può che cadere sul 2009. In una sola edizione troviamo sia l’apice del valore artistico che riesce a imporsi malgrado l’industria, usando esclusivamente la forza dei contenuti, del linguaggio e della capacità di leggere il presente, che il modello tradizionale del corto di successo poi sviluppato in un lungo. Non certo approcci antagonisti, anzi, le vie per raggiungere il pubblico sono infinite e sempre meritorie.

Due film nel concorso internazionale: L’estraneo (2008, 23′) di Fabian Ribezzo e L’arbitro (2008, 15′) di Paolo Zucca che si aggiudica lo Special Jury Prize. Prodotto dall’Istituto Superiore Regionale Etnografica di Nuoro, girato in Sardegna, vince anche il David per svilupparsi nel lungometraggio omonimo presentato a Venezia nel 2013.

Il terzo italiano è invece nel concorso Lab e nel programma Jeunes Publics. Un classico che mette in difficoltà qualsiasi traduzione dalle immagini in movimento al linguaggio scritto. Ancora più difficile è invece dire qualcosa sull’autore, costringerlo in definizioni. Non regista, non animatore, non artista figurativo. Limitarlo anche alla nazionalità italiana perché nato a Senigallia suona come un torto perché patrimonio collettivo. Blu sono semplicemente le tre lettere utili a collegare manifestazioni che appaiono in giro per il mondo, in questo caso nel formato di cinema breve. Muto (2008, 6′) vince nel 2009 il Gran Prix nel concorso Lab. Le due edizioni che seguono di Clermont hanno ancora Blu in selezione, sempre in Lab. Nel 2010 Combo (2009, 4′) di David Ellis e Blu. Nel 2011 Big Bang Big Boom (2010, 10′) che prende il premio del pubblico.

Per il 2010 vale ancora lo stesso discorso dell’anno precedente, è infatti un’altra edizione simbolica di massima espressione e riconoscimento per il formato italiano. Quattro selezionati, tutti nomi oggi conosciuti. Per il concorso internazionale Percorso # 0008-0209 (2009, 5′) di Igor Imhoff e Blue Sofa (2009, 20′) di Lara Fremder, Giuseppe Baresi e Pippo Delbono che vince il festival con il Grand Prix. Oltre al citato Combo di Blu, in Lab è invece la prima volta di Donato Sansone che si aggiudica lo Special Jury Prize con un altro classico completamente fatto in casa, Videogioco (2009, 2′). Di fatto resta oggi l’unica sua produzione nazionale in un concorso, dato molto significativo considerando che stiamo parlando dell’autore italiano con forse il maggior numero di titoli passati a Clermont, ben sette. Concatenation 1 & 2 (Breves Digitale 2021) e Topo glassato al cioccolato (Insolence Productions Carte Blanche 2020) sono autoproduzioni, entrambe in sezioni non competitive. Ben tre sono invece i film che passano nel concorso francese. Dark Globe quest’anno, 2025. Bavure nel 2019. Journal animé che nel 2017 oltre alla competizione nazionale viene inserito nel programma della serata di apertura, in quello delle scuole e nella selezione di Canal +.

Esiste infatti un’altra storia, che qui non riusciamo a trattare, di autori italiani prodotti all’estero o con minoritario italiano. Gianluigi Toccafondo, Donato Sansone, Simone Massi, Roberto Catani, Mara Cerri e Magda Guidi. Tutte animazioni ma non mancano le fiction. Esempio estremo è Adriano Valerio. Tre volte a Clermont, sempre e solo nel concorso francese. 37°4 S (Fra 2013, 12′) nel 2014. Calcutta 8:40AM (Fra/India 2023, 14′). E l’unica coproduzione con il nostro paese The Nighwalk (Fra/Ita 2020, 15′), nel concorso del 2021, vincitore di due premi: Canal+ Award, Best Original Film Score Award (SACEM).

 

A chiudere il quinquennio che abbiamo oramai descritto quasi come la Golden Age delle produzioni brevi nazionali a Clermont-Ferrand ci sono i tre film in competizione nel 2012. I morti di Alos (2011, 31′) Daniele Atzeni, ibrido documentario e fiction, passato a molti festival (Bellaria, Cinemambiente, Vila Do Conde, Visione Italiane, vincitore del Green Film Festival Seoul). Unico italiano nel concorso internazionale. Dell’ammazzare il maiale (2011, 6′) di Simone Massi, vincitore del David, a Lab. Il primo corto della trilogia La malattia del ferro, Il capo (2010, 15′), esordio di Yuri Ancarani che vince il Grand Prix del Lab. Ad oggi resta l’ultima produzione italiana a vincere un premio a Clermont. Anche la seconda opera breve della trilogia di Ancarani, Piattaforma Luna (2011, 25′), è in competizione Lab l’anno seguente.

I riconoscimenti del periodo, come sempre succede, da un lato mettono in luce un movimento creativo e produttivo molto più ampio e profondo dei titoli e degli autori premiati, dall’altro sedimentano nel nostro paese la consapevolezza di avere oramai in via di definizione una vera e propria ‘industria’ del cortometraggio, pronta a tradurre i talenti e le esigenze espressive in qualcosa di strutturato. È l’unico modo per frequentare con una scena internazionale sempre più competitiva nei numeri e nella qualità. Proprio nel 2014 il totale delle iscrizioni a Clermont supera per la prima volta le 8mila unità, i corti francesi superano i 1600, mentre gli italiani di poco i 200. La ristrutturazione della filiera, produzione, distribuzione e promozione, è oramai necessaria e prende piede dalla metà degli anni 10.

La professionalizzazione dei comparti viene definita da più elementi, a iniziare dal secondo rapporto dedicato al settore, la prima indagine di mercato che fissa il momento: L’industria del cortometraggio italiano. Report 2014, Jacopo Chessa, 2015. Si struttura un sistema sull’esempio di altri paesi europei: la nascita di bandi dedicati al formato breve di alcune Film Commission, il posizionamento dei festival sulla scena internazionale tramite un lavoro di programmazione e confronto con colleghi di tutto il mondo, i primi mercati dedicati (Torino Short Film Market, oggi ShorTO, dal 2016 con il Centro Nazionale del Cortometraggio e Figari International Short Film Market dal 2017 con il festival omonimo), i film di diploma delle scuole di cinema, la prima generazione di distributori. Tutti convogliano a Clermont, pronti a fare loro buone pratiche da reinterpretare. Nell’ultimo decennio è oramai l’hub anche per gli italiani. Nella prima metà degli anni’10 si percepisce, per la prima volta, che esiste una comunità. Soprattutto che i numeri e la realtà nazionale sono grandi abbastanza per fare un salto organizzativo, strutturandosi sugli esempi di altri paesi.

 

Qui si apre una storia parallela sugli ‘italiani a Clermont’ che non possiamo trattare perché devia in parte dal discorso, non riguardando direttamente i film ma i tanti colleghi che hanno fatto loro uno spirito di promuovere e diffondere il formato. Tra gli elementi citati forse il più utile, il più significativo a sintetizzare il periodo riguarda i distributori. Non è infatti un caso che la prima generazione dei distributori italiani di corti nasca nella prima metà degli anni dieci. Con l’eccezione di Elenfant, attiva già dalla fine del decennio precedente. Questa prima generazione è composta da: Associak (2012), Premiere (2014), Lighs On (2015), ShortsFit (2015), Zen Movie (2016) e Sayonara Film (costola di Elenfant, 2016). Ognuna è stata in grado negli anni di assumere la propria identità, definire una linea editoria e commerciale, inserirsi sulla scena nazionale e/o internazionale molto competitiva. Per la quantità di corti prodotti e il numero di festival, avere un gruppo di distributori in grado di fare filtro e ordine diviene una necessità. Non è più possibile per un regista navigare da solo i festival con efficacia, a meno che non dedichi tempo e risorse. Molti registi esordienti sottovalutano la complessità e il livello di competizione che si frappongono tra la copia campione e il mettere un film breve di fronte al pubblico.

La messa in opera, a pieno regime, della distribuzione italiana coincide anche con il record di film italiani iscritti nel 2019, unica edizione a superare i 300. Quest’anno, 2025, sono 299.

Il modello di Clermont, non solo festival e mercato, è stato un aiuto per tutta la comunità italiana e europea. Non esiste un altro luogo o momento in cui tante informazioni sono così concentrate e accessibili. I vari anelli della nostra filiera hanno preso qualcosa, se non direttamente dalla manifestazione stessa, da qualcuno incontrato lì, e lo hanno adattato alle esigenze. Cosa non proprio nuova, in tema di audiovisivo (e cultura) la Francia vista dall’Italia resta un perenne vorrei ma non posso e/o voglio.

 

Dal 2014 a oggi le iscrizioni totali a Clermont-Ferrand si assestano mediamente intorno alle 8mila, superando le 9mila in due occasioni, il 2019 (9217) e 2024 (le 9414 sono anche il rimbalzo finale del post pandemia). Il dato che più salta gli occhi in merito alle selezioni italiane è la quasi totale assenza nella sezione che fino a quel momento ha dato grandi risultati, Lab. Tra il 2014 e il 2025 le produzioni nazionali sono quasi tutte nel concorso internazionale (17), poche per le scuole (5) e solamente due nel Lab: Pentola (2022, 7′) di Leo Černic e The Eggregores’ Theory (2024, 15′) di Andrea Gatopoulos. Dopo Ancarani sono quasi dieci edizioni di Clermont senza italiani al Lab (esclusi i citati casi con produzione maggioritaria francese).

Un secondo elemento significativo lo ricaviamo dalla comparazione di due dati che riguardano l’animazione. Sono quattro produzioni italiane selezionate nel decennio indicato, di queste ben tre sono della sede torinese del Centro Sperimentale di Cinematografia Animazione (realtà affermata sulla scena festivaliera europea). Considerando che solo quest’anno i film di animatori italiani con produzione francese (o maggioritario) sono altrettanti, tre nel concorso nazionale e una nel Lab, abbiamo una fotografia dello stato di un’eccellenza autoriale oggi nel nostro paese. Lasciamo le conclusioni a chi legge.

 

La storia è ciclica, le fasi si alternano, e abbiamo oggi tutte le premesse per guardare al domani con grandi aspettative. Generalizziamo senza fare nomi perché trattiamo del presente.

La generazione dai Novanta ha fatto un salto ulteriore, nei modi, nelle consapevolezze e, inevitabilmente nei risultati. Un approccio diverso al mezzo, più adatto al formato e al tipo di comunità. Più collaborativo e meno competitivo all’interno, molti autori vogliono confrontarsi con l’Europa, con il mondo, non più tra di loro. Fin da subito hanno visto la scena internazionale come un punto di partenza, e non di arrivo. Il successo di uno può essere di aiuto ad altri. Ricorda un po’ le dinamiche delle crew nel rap. L’approccio collettivo è possibile grazie alla trasversalità, alle maggiori competenze, alla capacità di vedere e operare nel mondo dei corti su più fronti. Non è un caso infatti che, nella nuova generazione di produttori, distributori e organizzatori di festival, troviamo anche dei registi. I ruoli arrivano a mischiarsi, ma resta la volontà di esplorare il mezzo, spingerlo attraverso il cambiamento continuo dell’evoluzione tecnologica, informatica. Adeguarlo alla lettura del presente in ogni campo, in ogni fase del film.

 

Il cinema è quasi sempre una disciplina di gruppo, frequentare il corto con spirito competitivo nazionale costringe alla chiusura e all’isolamento. Quindi l’inaridimento creativo. La condivisione, anche critica, la collettività come approccio invece portano all’apertura, al confronto con i migliori, quindi all’elevazione di un sistema.

Un regista a cui abbiamo fatto notare questa differenza rispetto al passato si è dimostrato del tutto consapevole della situazione attuale, sintetizzandolo meglio di come potremmo fare noi: “è il nostro superpotere”.

 

Abbiamo scelto soltanto le produzioni italiane selezionate per circoscrivere il racconto. Sono anche altri gli indicatori della presenza nazionale in Alvernia. I progetti portati a Euro Connection dal 2009, i corti selezionati dal mercato (Market Picks), presenze ai dibattiti e panel, etc.

Clermont è riuscito nella difficilissima impresa di restare per decenni il modello da cui si sono formati i festival di corti come li conosciamo oggi. Non è un caso infatti che in Italia molte manifestazioni dedicate al formato più riconosciute e stimate a livello europeo siano le stesse che frequentano Clermont-Ferrand, e parte di Short Film Conference. Più in generale conoscono il lavoro e i colleghi degli altri paesi.

 

Visto da qui, quel che lo rende un caso unico sono alcuni equilibri. La capacità di avere un’impostazione tradizionale, da vecchia scuola, senza la necessità di prenotare le proiezioni, entrare/uscire dalla sala tra un corto e l’altro, etc, convive con il saper cogliere ogni anno lo stato del formato, accogliere e promuovere le nuove generazioni di autori, di professionisti dell’audiovisivo in generale. La manifestazione mantiene lo spirito e la struttura originarie adattando i contenuti e le scelte di programmazione. Ambiziose, coraggiose, spesso scanzonate sono tante sezioni tematiche di panorama che affrontano argomenti laterali. Prima della pandemia grande successo sono sempre state le proiezioni nella piscina dello stadio del nuoto.

Resta inoltre uno dei rari festival ancora realmente orizzontali, aspetto forse unico per una manifestazione di queste dimensioni. Spesso le limitazioni di accesso sono una necessità nei grandi eventi concentrati in ‘poche’ locations. Invece le dimensioni non hanno influito negativamente sull’accessibilità. Qualche numero del 2024 per dare un’idea: 426 proiezioni, +500 film, 11 sale, 20 giurie, +300 volontari, +100 staff, +100 incontri, 4 laboratori per 0-6 anni, 15 scuole per Atelier (6244 partecipanti), 38 espositori al mercato, 22 presentazioni buyer, 8 mostre (+350 artisti esposti, +3600 visitatori), 160mila spettatori (più degli abitanti). Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l’organizzazione di manifestazioni può farsi un’idea di come si traducano nella realtà lavorativa quotidiana.

 

Ultimo equilibrio che vogliamo citare riguarda il rapporto con la città, con i Clermontois. Troviamo una sintesi in alcune introduzioni di Quillot, le intenzioni sono chiare già nei cataloghi della seconda metà degli anni’80. La citata visione internazionale che convive con una cittadinanza attiva, critica, parte dell’esperienza collettiva. L’orizzontalità totale permette di avere una mescolanza di tutti i partecipanti, chi abita a un isolato, al fianco a chi viene da un altro continente.

 

Spesso abbiamo usato la dicitura Clermont proprio per non identificare il festival con il modello generale, fatto di tanti altri elementi non meno rilevanti. Infatti festival e mercato sono solo una parte di un sistema molto più ampio, trasversale, fatto di attività quotidiane e ‘dipartimenti’ che si diramano da Sauve qui peut le court métrage. Il circuito diffusione, il centro di documentazione de La Jetée, le residenze di Shorts Cut (da cui è passato ad esempio Abruzzese per Disco Boy), Euro Connection (17ma edizione quest’anno), i laboratori di Atelier e soprattutto il Le Pôle d’éducation à l’image. Quest’ultimo porta l’educazione all’immagine a tutte le fasce scolastiche, gli ospedali, i centri di detenzione.

Sono tante le buone pratiche da cui prendere esempio, modelli in larga parte replicabili, adattabili. Si tratta poi di sfruttare tutte le peculiarità del formato, la sua flessibilità, il potenziale educativo, la sintesi dei contenuti, le diramazioni infinite dei generi, etc.

Il programma del festival ha forse raggiunto da tempo la sua massima espansione, la sfida resta quella di mantenere intatti gli equilibri sopra citati e adeguare il mercato ai prossimi cambiamenti dell’industria. Tutte cose che agli organizzatori sono sempre riuscite, anche in recenti momenti di difficoltà. Questo è un altro aspetto, parte integrante del modello, della formula, ovvero il modo di porsi degli organizzatori, dei programmatori. Clermont-Ferrand ha sempre operato come gruppo, lasciando che l’attenzione resti concentrata sui film, sui registi, sull’esperienza collettiva.

Siamo spesso abituati ad associare grandi festival con direttori e programmatori. Esiste poi ovunque uno squilibrio tra offerta e domanda nel formato breve, migliaia di produzioni per pochi schermi. Per fare un esempio, restando su Clermont, i tre concorsi (CI, CN e Lab) assorbono il 2% delle iscrizioni. Una dinamica che vale per la maggior parte dei grandi festival. Non è certo questo il caso ma il fenomeno rischia di rendere alcuni programmatori eccessivamente protagonisti, anche senza volerlo. È la percezione che ci ha restituito il parlare con diversi registi. Molti, specialmente i più giovani, credono che i programmatori siano gatekeepers da cui dipende l’accesso al circuito festivaliero. Cosa in parte vera, ma la messa insieme di una selezione comporta una visione d’insieme fatta dall’equilibrio di tanti elementi da rendere organici.

 

Il formato breve per sua natura, legato a generazioni più giovani e con minori implicazioni economiche, di certo facilità le dinamiche più immediate, l’orizzontalità e l’accessibilità di cui abbiamo parlato. La professionalizzazione non ha scalfito il modello. Eppure una piccola correzione di rotta è necessaria ogni anno, per tutti. Frequentare il corto è come comandare una barca vela, serve correggere continuamente con il vento. La velocità con cui muta il presente obbliga a restare vigili, comprendere cosa sta accadendo intorno a noi, come, e farne una sintesi da tradurre in programmi.

Un esempio. Già alla fine del decennio passato davamo per certo che l’XR era oramai integrata ai festival, ai mercati. Sono passati alcuni anni ma non è ancora così. Certo, molte manifestazioni hanno pitch, concorsi, etc. Ma non possiamo affermare che siano ‘integrati’, frequentano piuttosto un mondo parallelo. Nulla di strano, anzi è compito dei festival accogliere e riassumere il formato breve che ci circonda, anche se comporta trattare formati e pratiche che non hanno coordinate scolpite. Il legame con la tecnologia rende poi meccanismi e dinamiche molto fluide, a tratti sfuggenti.

Le sfide saranno anche queste, per tutti. Il lavoro quotidiano collettivo, il confronto tra di noi e il tempo faranno ordine.

Alla fine, come sempre, saranno i film a decidere.

 

Clermont-Ferrand 1979-2025. Tabelle:

Numeri (iscrizioni, selezioni, premi)

Titoli (produzioni italiane selezionate e premiate)

 

40 anni di Clermont-Ferrand per immagini 1979-2018:

Festival international du court métrage de Clermont-Ferrand: 40 ans d’images

Retour en images sur le Festival international du court métrage avec les archives de La Montagne

 

Se abbiamo citato qualcuno o qualcosa erroneamente potete segnalarcelo a: info@centrodelcorto.it. Altrimenti accettiamo anche i dissing.

 

Alessandro Giorgio