Torino, venerdì 28 settembre 2012, dalle ore 19, Cinema Massimo 3
Filmbreve 2012
Una lunga serata di proiezioni in occasione della nuova edizione di “FilmBreve”.
Sei titoli italiani dell’ultima stagione candidati al Premio 2012 sfileranno sullo schermo sottoponendosi al giudizio del pubblico in sala, che potrà esprimere le proprie preferenze tramite apposita scheda, prima che, come gli altri anni, la parola passi alla giuria di 40 esperti – registi, attori, critici, direttori dei principali festival nazionali, docenti, scrittori e cinefili – incaricata di scegliere, all’interno della rosa dei selezionati, il “miglior corto dell’anno”.
La presentazione dei film in lizza per il Premio si alternerà, nel corso della serata, alle proiezioni di piccoli-grandi capolavori del “cinema breve”, più e meno recente, e a omaggi ad autori di ieri e di oggi.
Ore 19:
Grandi corti della storia
Una carrellata sui folgoranti “corti” di grandi Maestri per aprire al meglio la serata che celebra il “film breve” di tutte le epoche e in tutte le forme
L’école des facteurs
Regia: Jacques Tati. sceneggiatura: Jacques Tati. interpreti: Jacques Tati, Paul Demange. produzione: Cady films. origine: Francia, 1947, 15 min.
Un postino, che vuole ridurre i tempi del suo giro, inventa per ciascun destinatario un modo per la consegna della posta.
La jetée
Regia, sceneggiatura e dialoghi: Chris Marker. fotografia: Jean Chiabaut, C. Marker. montaggio: Jean Ravel. suono: Antoine Bonfanti. musica: Trevor Duncan. interpreti: Hélène Chatelain (la donna), Davos Hanich (l’uomo), Jacques Ledoux (lo scienziato), André Heinrich, Jacques Branchu, Pierre Joffroy, Étienne Becker, Philbert von Lifchitz, Ligia Branice, Janine Klein, William Klein, Germano Faccetti. narratore: Jean Négroni. produttore: Anatole Dauman. produzione: Argos Films. origine: Francia, 1962, 28 min.
In questo affascinante esempio di fantascienza a foto fisse, Marker si spinge su terreni assai vicini a quelli del suo antico compagno di documentari Resnais, riflessione sul tempo, viaggio nel tempo che è anche interrogazione critica sulla scienza e sul futuro umano. Un 2000 atomizzato: in una Parigi distrutta dopo la terza guerra mondiale, un “vinto”, un pilota prigioniero in misteriosi sotterranei, forse i soli luoghi in cui si è rifugiata la vita, è usato da torturatori che parlano tedesco e dai loro scienziati per un ritorno indietro nel passato, e nel passato trova l’amore ma anche la morte. Questo gioiello di ‘fotoromanzo’ gioca su un registro stilistico raffinatissimo, l’ellissi come forma totale. Su immagini ferme oltre ogni illusione naturale, di un bianco e nero a forti contrasti, s’innesta un “testo” di commento fuori campo da narratore ad alta tenuta letteraria e di musica spesso attinta alla liturgia russa, a comporre un peculiare clima a mezzo tra fascinazione e orrore. (Gianni Volpi)
Peel – An Exercise in Discipline
Regia, soggetto, sceneggiatura e montaggio: Jane Campion. fotografia: Sally Bongers. suono: Kay Dineen, Sue Kerr. musica: Ralph Tyrell. interpreti: Tim Pye (padre), Katie Pye (sorella di Tim), Ben Martin Pye (figlio di Tim). produttore esecutivo: Ulla Ryghe. produzione: Australian Film and Television School. origine: Australia, 1982, 9 min.
Palma d’Oro al Festival di Cannes 1986 per il miglior cortometraggio
Tim, sua sorella Katie e suo figlio Ben stanno facendo ritorno a casa in auto. Ben gioca con un’arancia e getta dal finestrino le bucce. Nonostante i rimproveri del padre, Ben non smette. Tim indispettito, ferma l’auto e ordina al figlio di raccogliere ciò che ha gettato dal finestrino. Incurante del litigio, Katie pensa soltanto a rientrare a casa in tempo per assistere al suo programma televisivo preferito. Il bambino si allontana per raccogliere le bucce e gli adulti sono costretti ad aspettarlo fermi sotto il sole. Tim va quindi a cercare il figlio e lo trova sdraiato in mezzo alla strada. Adesso è Katie a gettare delle bucce d’arancia a terra. Tim e Ben le intimano di raccoglierle, ma lei sembra non rispondere alle loro sollecitazioni. Al tramonto i tre sono ancora fermi, mentre Ben salta sul tetto dell’auto.
The Big Shave
Regia, sceneggiatura e montaggio: Martin Scorsese. fotografia: Ares Demertzis. effetti speciali: Eli F. Bleich. interpreti: Peter Bernuth. origine: Usa, 1967, 6 min.
Un uomo va una mattina in bagno. Un bagno tutto bianco, immacolato. L’uomo si rade una volta, poi rimette la crema da barba sul viso, e comincia a radersi una seconda volta. Subito appare una goccia di sangue, poi due, poi tre. L’uomo continua imperterrito, come se niente fosse: il suo viso ben presto non è più che una piaga e la stanza da bagno è coperta di sangue.
«Mi sono quasi convinto che era un film contro la guerra del Vietnam, che questo individuo che si rade meticolosamente e finisce per tagliarsi la gola era un simbolo dell’americano medio del tempo. È per le sue implicazioni politiche che ho usato in sottofondo la versione originale di “I can’t get started”, quella di Bunny Berigan del 1939. Volevo perfino terminare su immagini di repertorio del Vietnam, ma sarebbero state inutili. Di fatto, The Big Shave era un fantasma, una visione strettamente personale della morte».
Martin Scorsese, “Positif” n. 170, giugno 1975
Due uomini e un armadio
Regia e sceneggiatura: Roman Polanski. fotografia: Maciej Kijowski. musica: Christopher Komeda. interpreti: Jakub Goldberg, Henryk Kluba. produzione: Pwsf. titolo originale: Dwaj ludzie z szafa. origine: Polonia, 1958, 15 min.
Dopo essere emersi dal mare trasportando a spalle un armadio, due uomini attraversano la città. L’anta a specchio dell’armadio riflette le brutture del mondo, comprese violenze e delitti. Maltrattati e scacciati, i due tornano infine col loro armadio nel mare.
(…) Polanski, già da allora, intendeva il cinema, più della pittura, a cui s’era dedicato in precedenza, un mezzo non già per catturare la realtà nel suo farsi, per documentare gli eventi, ma soprattutto e in particolare per trasformarla in una sua immagine irripetibile, fissa e ineffabile, senza per questo ridurne la portata effettuale, il senso della sua evidenza semantica.
Uno sguardo molto personale, un modo di osservare la realtà e di rappresentarla fuori degli schemi tradizionali, come se Polanski fosse attratto in pari misura dal soggetto affrontato e da una forma che ne impedisse gli eventuali sviluppi narrativi. Da questo punto di vista il cortometraggio –in questi casi il “microfilm”, ovvero il “film-pillola” – non poteva che avere una sua forma precisa, un suo contorno spaziale e temporale che non facesse pensare, magari, a un possibile lungometraggio. Non già quindi una sequenza isolata, che poteva essere intesa come facente parte di una serie più ampia di sequenze; ma piuttosto un film conchiuso, cioè un’opera compiuta.
Ed è su questa linea di compiutezza, frutto di una cura attenta dei particolari, soprattutto della struttura filmica, dal soggetto alla sua realizzazione finale, che Polanski ha realizzato i suoi cortometraggi (…) Sono esemplari i tre cortometraggi che compongono una sorta di “trilogia della crudeltà sociale”, da lui realizzati fra il 1958 e il 1962: Dwaj ludzie z szafa [Due uomini e un armadio], Le gros et le maigre [Il grasso e il magro] e Szaki [I mammiferi]. Sono film costruiti su due personaggi e un ambiente, in cui le tensioni sociali, la crisi d’identità, la violenza dei rapporti interpersonali, si manifestano in pochi tratti ripetuti, in poche azioni e movimenti che costituiscono il filo rosso di un discorso che si fa al tempo stesso critico e grottesco, acuto e simbolico, lungo un tracciato formale che recupera la lezione del surrealismo e di quello che possiamo chiamare il “realismo distruttivo”. Nel primo film è la vicenda assurda di due uomini che trasportano un armadio con specchiera, escono dal mare e al mare ritornano, dopo aver attraversato i luoghi deputati di una società violenta, indifferente, egoista, in cui gli ideali si sono dissolti nell’indifferenza generale. (…) Tre “parabole” diverse, ma simili nello stile e nel contenuto di fondo, in cui Polanski analizza da par suo, con pochi mezzi e lo sguardo acuto di colui che “non ci sta”, alcuni elementi di crisi e di conflittualità delle società contemporanee (socialista e capitalista). (Gianni Rondolino)
Ore 20.15:
Omaggio a Marco Bellocchio (del 1968)
Discutiamo, discutiamo
episodio di Amore e rabbia
gli altri episodi: L’indifferenza di Carlo Lizzani, Agonia di Bernardo Bertolucci, La sequenza del fiore di carta di Pier Paolo Pasolini, L’amore di Jean-Luc Godard.
Regia, soggetto e sceneggiatura: Marco Bellocchio. fotografia: Aiace Parolin. montaggio: Roberto Perpignani. musiche: Giovanni Fusco. interpreti: Marco Bellocchio, un gruppo di studenti dell’Università di Roma, tra i quali Sergio Elia, Roberto Marigliano, Dino Audino, Ivo Micheli, Daniele Marfori, Michele Santoro. produzione: Carlo Lizzani per Castoro Film (Roma), Anouchka Film (Parigi). origine: Italia/Francia, 1968. durata: 24 min.
In un’aula universitaria, durante una lezione, il professore scrive sulla lavagna una frase di Benedetto Croce. In seguito intervengono alcuni studenti maoisti sino a quando la discussione non degenera in uno scontro a colpi di slogan e d’ideologie tra studenti di destra e studenti di sinistra. Al culmine della contrapposizione tra contestatori e reazionari, il professore invoca l’intervento delle forze dell’ordine.
«(…) Meglio allora la farsa dichiarata di Discutiamo, discutiamo, che in presa diretta sugli eventi si fa beffa insieme del Sessantotto chiacchierato, del Centro Sperimentale (dove viene girato l’episodio) e dell’Ital Noleggio (che dà soldi gettati al vento in un’impresa «amatoriale»). Nel suo unico film in scope, formato giusto per un’opera «teatrale», Bellocchio riesce a iniettare veleno in ciò in cui pure, momentaneamente, crede (la sinistra extraparlamentare), a bollare il riformismo del Pci (lo studente con la parrucca) e a trasmettere comunque un’allegria giovanile lasciando briglia sciolta ai suoi improvvisati interpreti. È l’altra faccia della parentesi politica, che l’anno dopo, nel 1969, si farà seriosa, forzandosi all’ascetismo della non-forma, nei contributi ai collettivi Il popolo calabrese ha rialzato la testa e Viva il 1° maggio rosso proletario. Che restano però dei documenti, per certi versi preziosi».
Adriano Aprà, Marco Bellocchio. Il cinema e i film, Marsilio 2005
Omaggio al vincitore di Clermont-Ferrand 2012
Il capo
Regia e montaggio: Yuri Ancarani. soggetto e sceneggiatura: Y. Ancarani, Pietro Savorelli. fotografia: Ugo Carlevaro. suono: Mirco Mencacci. produzione: N.O. Gallery, Gemeg, Deneb Film. origine: Italia, 2010, 15 min.
Gran Prix Compétition Labo, Festival International du Court-métrage de Clermont Ferrand 2012
Secondo premio, FilmBreve 2011
Monte Bettogli, Carrara: nelle cave di marmo uomini e macchine scavano la montagna. Il Capo controlla, coordina e conduce cavatori e mezzi pesanti utilizzando un linguaggio fatto solo di gesti e di segni. Dirigendo la sua orchestra pericolosa e sublime, affacciata sugli strapiombi e i picchi delle Apuane, il Capo agisce in un rumore assoluto, che si fa paradossale silenzio.
«In molti documentari esistenti sulle cave di marmo, i cavatori vengono mostrati come archetipi neorealisti, uomini duri fatti di sudore e imprecazioni. Io invece ammiro la loro intelligenza pratica, ha una forma di eleganza che ha molto da insegnarci, e che il mio Capo cavatore possiede: è un uomo che ha stile, nei gesti, nei modi. In un ambiente così duro e pericoloso ho voluto mostrare un aspetto di delicatezza».
Ore 21:
Premio per il miglior cortometraggio italiano della stagione 2011-2012 (prima parte)
in collaborazione con Genova Film Festival
Dell’ammazzare il maiale
Regia: Simone Massi. riprese: Julia Gromskaya. colonna sonora: Stefano Sasso. produzione: Simone Massi, 2011. tecnica: disegno su carta. durata: 6 min. 20 sec.
David di Donatello 2012 per il miglior cortometraggio
Mentre il maiale viene trascinato fuori dal porcile, ha finalmente l’occasione di vedere il cielo e il mondo che c’è là fuori.
I morti di Alos
Regia e montaggio: Daniele Atzeni. fotografia: Paolo Carboni. musica e sound design: Stefano Guazzetti. voce narrante (italiano): Alessandro Valentini. voce narrante (sardo): Giovanni Carroni. effetti visivi: Andrea Iannelli. produzione: Araj Film / Areavisuale, con la partecipazione della Società Umanitaria – Cineteca Sarda e dell’Associazione Culturale Babel, 2011. durata: 31 min.
Antonio Gairo è l’unico sopravvissuto a una terribile sciagura che nel 1964 colpì Alos, un paese del centro Sardegna ora divenuto un villaggio fantasma. In un squarcio di lucidità e memoria perduta da tempo, l’uomo racconta la vita del paese prima dello “sviluppo” industriale e la propria condizione di pastori e poi di operai in una grande e distruttiva industria petrolchimica.
Topo glassato al cioccolato
Regia: Donato “Milkyeyes” Sansone. colonna sonora: Enrico Ascoli. produzione: Milkyeyes, 2011. tecnica: disegno su carta. durata: 2 min. 45 sec.
Una visione oscura e surreale dove ogni elemento si aggroviglia su se stesso in una spirale circolare senza fine.
Omaggio a Ridley e Tony Scott
Boy and Bicycle
Regia, soggetto, fotografia, produzione: Ridley Scott. suono: Brian Hodgson, Murray Marshall. musica: John Baker, John Barry. interpreti: Tony Scott (il ragazzo). produzione: British Film Institute Experimental Film Fund. origine: Gran Bretagna, 1965. durata: 25 min
Tony si sveglia nella sua stanza di ragazzo. Ha compiuto da poco sedici anni e vive con preoccupazione e fastidio il fatto di essere passato alla maggiore età. Si alza fra le urla della famiglia. Esce in bicicletta. Di fronte alla scuola decide di non entrare e prosegue il suo giro per la città fino alla spiaggia di North Shields. La cinepresa segue il ragazzo nella visita dei luoghi adiacenti alla spiaggia mentre il sonoro manda la voce fuori campo del suo pensiero e i suoni (e le voci) d’ambiente. Continuando a pedalare, arriva a una baracca abbandonata, dall’atmosfera inquietante.
Boy and Bicycle è stata la prima incursione nel cinema di Ridley Scott, fatta con un budget di 65 sterline e con una cine-camera Bolex da 16mm presa in prestito dal Royal College of Art in London, di cui allora era uno studente. Girato nell’arco di sei settimane nei primi anni ‘60, il film è stato completato nel 1965 quando Scott ha potuto terminare la post-produzione sonora grazie a un sussidio del BFI’s Experimental Film Fund.
Boy and Bicycle si apre nella stanza da ragazzo di Scott e la cine-camera rappresenta il punto di vista del protagonista (interpretato dal fratello più giovane di Scott, Tony, diventato anch’egli regista) nel momento in cui si sveglia e si guarda intorno, pensando alla giornata che lo aspetta. Decide di marinare la scuola e il film lo segue nei suoi giri in bicicletta in vari posti sul lungomare. Nel frattempo, una voce off racconta i pensieri del ragazzo in un flusso di coscienza che Scott ha detto essere stato in parte ispirato dalla lettura dell’Ulisse di Joyce. La voce ne rivela la frustrazione di adolescente e deride le figure adulte della sua vita: gli insegnanti, i genitori…
Scott aveva fatto uno storyboard dettagliato prima di iniziare le riprese, includendo molti elementi visivi che arricchiscono la struttura del film: un cane morto, il sole oscurato da nubi minacciose, l’inquietante desolazione della spiaggia, che Scott ha detto essere un omaggio al Settimo sigillo di Ingmar Bergman.
Durante la post-produzione, Scott ebbe la fortuna di ottenere la collaborazione del compositore John Barry. Dato che Scott non poteva permettersi di pagare i diritti del pezzo registrato che avrebbe voluto nella colonna sonora, Barry acconsentì generosamente a registrarne una nuova versione, e la sua musica aggiunge una nota lirica e vitale al film.
David Morrison, British Film Institute
Premio per il miglior cortometraggio italiano della stagione 2011-2012 (seconda parte)
Ainult meie kolm (Solo noi tre)
Regia: Giampietro Balia. sceneggiatura: Alise Zarina. fotografia: Karlis Jaunzems. scenografia, costumi: Piia Berta Piir. montaggio, effetti visivi: G. Balia. musica: Ivan Cancialosi. suono: Indrek Soe. interpreti: Kersti Heinloo, Jaune Kimmel, Epp Eespaev, Marten Metsaviir. produttore: Reinis Kalvins. produzione: Baltic Film and Media School, 2011, 29 min.
Dopo la morte del padre, Liisu ed Andres scoprono di essere stati abbandonati in tenera età dalla loro madre biologica. Dopo averla rincontrata per la prima volta, cercheranno di conoscerla.
L’estate che non viene
Regia: Pasquale Marino. soggetto: Anahi Borges, Ilaria Macchia, Pasquale Marino, Andrea Paolo Massara. sceneggiatura: Ilaria Macchia, Andrea Paolo Massara. fotografia: Valentina Belli. scenografia e costumi: Alessia Pelonzi. montaggio: Mauro Rossi. musica: Alessandro Grazian. suono: Andrea Ottina. montaggio del suono: Valeria Cocuzza. interpreti: Lucia Mascino, Lorenzo Barbetta, Nicholas Persi, Daniel Persi. produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia Production in collaborazione con Rai Cinema, 2011. durata: 16 min. 30 sec.
In un pomeriggio di maggio Nicholas, Daniel e Lollo si ritrovano sulla spiaggia, cercando di porre rimedio a un vita scolastica disastrosa. Sulla stessa spiaggia si trova anche la loro professoressa, e la tensione cresce.
Il respiro dell’arco
Regia: Enrico Maria Artale. fotografia: Luca Frondoni. scenografia: Valeria Di Claudio. costumi: Santina Cardile. montaggio: Paolo Landolfi. musica e suono: Gherardo Chelazzi. montaggio del suono: Paolo Testa. interpreti: Giulia Bertinelli, Roberto Antonelli, Michele Botrugno, Gianluca Vicari, Germano Gentile, Simone Ruggiero. produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia Production, 2011. durata: 10 min. 51 sec.
Nastro d’Argento 2012 per il miglior cortometraggio
Una ragazza cerca di sintonizzare il proprio respiro con il movimento dell’arco, freccia dopo freccia. Ma dietro quel talento sportivo si nasconde la necessità di recuperare un istinto primitivo e violento, un archetipo.